Psicodinamica di un infinito azzardo

di David Scaramozzino

 

 

L’uomo è veramente uomo soltanto quando gioca”

Friedrich Schiller.

 

Ognuno è incline a credere in ciò che desidera,

da un biglietto della lotteria ad un passaporto per il paradiso”

George Byron

 

Giocare d’azzardo è un’attività che accomuna gran parte delle persone. Rappresenta un momento di svago, di evasione, di condivisione; un cerimoniale che arricchisce l’atmosfera di momenti aggregativi. Dietro al gioco, soprattutto se supportato da denaro, si cela la sfida dell’uomo alla natura, intesa come società e sistema produttivo. 

Il desiderio di riscatto immediato da una condizione esistenziale aberrante o semplicemente noiosa, ciclicamente svanisce e si rinnova attraverso la giocata, l’attesa, il verdetto.

Non tutti coloro che si relazionano al gioco d’azzardo divengono giocatori patologici. Esistono giocatori occasionali che ben conoscono la misura e la cautela. La condotta del giocatore occasionale è contenuta dal buon senso, dalla paura e dall’ansia di perdere il denaro e cioè il controllo sui propri averi e le proprie certezze. Robert Custer, uno dei maggiori studiosi dell’argomento, definisce tali soggetti “giocatori sociali casuali” e cioè coloro che cercano nel gioco un momentaneo ed isolato divertimento.

Inoltre, come accade per chi si approccia alle sostanze stupefacenti, incombe la preoccupazione di sviluppare una morbosa dipendenza degenerativa. Talvolta tale timore è sufficientemente forte da conferire moderazione e autocontrollo.

Per una vasta e altrettanto oscura mole di fattori psicologici, comportamentali, culturali e persino genetici, alcuni soggetti sono più vulnerabili di altri (o semplicemente meglio predisposti) e finiscono per essere catturati nell’ipnotica trama dell’azzardo.

La distinzione tra il gioco per vincere e dal gioco per il gioco la ritroviamo già tra le pagine di Dostoieskij né “il giocatore”, di cui Freud (1920) fu studioso e critico.

A muovere l’animo dei giocatori ritratti dallo scrittore russo non sembra essere la bramosia del guadagno, bensì un istinto innato, una vocazione, per certi aspetti delinquenziale, che soggioga la persona alla tirannia del rischio.

Così il piacere ottenuto dalla giocata sancisce l’onnipotenza dell’IO e lo svincolo definitivo dalle pastoie dell’Altro. L’illusione del controllo, definizione che prendiamo in prestito dalla teoria cognitivista, è un effetto collaterale di tale onnipotenza e di un’euristica patologica improntata sull’istinto.  

Ricerche recenti di Psicologia Sperimentale e Clinica si sono orientate sull’esplorazione, non solo di fattori innati e predisponenti al gioco, bensì di caratteristiche di ragionamento e di funzionamento psichico che accomunano i giocatori, come la superstizione e l’impulsività.

Uno studio inglese ha evidenziato come l’impulsività e il ragionamento viziato siano caratteristiche presenti in gran parte dei giocatori patologici. Secondo la ricerca, il giocatore è un impulsivo, più incline alla superstizione, a cogliere segnali propiziatori dall’ambiente, a trasformare il naturale in magico. Sarebbe proprio l’impulsività a dirottare il pensiero sul magico e cioè alla distorsione cognitiva della realtà.

Freud, a riguardo sostiene che il giocatore patologico, attraverso l’azzardo, sfidi irriverente il Fato, al fine di sferrare l’attacco al padre punitivo e severo. Ciò produce inevitabilmente un rinvigorimento del senso di colpa e del circolo compulsivo del gioco. Il senso di colpa spinge compulsivamente verso il gioco e la perdita conferisce al giocatore l’espiazione.

Il “masochismo psichico” di cui parla Bergler (1957) conduce il soggetto dapprima a mettere in scena una “latente ribellione” verso le autorità genitoriali, attraverso il gioco, per poi convincersi inconsciamente che la perdita è l’unica forma di espiazione per l’aggressione inflitta all’oggetto amato.

In tal senso la sconfitta assume una valenza autopunitiva e rappresenta il vero obiettivo del giocatore d’azzardo. Il gioco diviene oppiaceo della sottostante sofferenza psichica associata alla colpa, all’angoscia o al tenere a bada impulsi di ostilità e aggressività. Senza dimenticare il carattere masturbatorio di un’attività che consente la “scarica immediata”in soggetti caratterizzati dall’“incapacità di tollerare la tensione psichica” (dsm IV-TR).

Per il DSM IV-TR, nella condizione di gap (giocatore d’azzardo patologico) “la persona è eccessivamente assorbita dal gioco d’azzardo (per es., è eccessivamente assorbita nel rivivere esperienze passate di gioco d’azzardo, nel soppesare o programmare la successiva avventura, o nel pensare ai modi per procurarsi denaro con cui giocare). Il gioco diventa oggetto di ogni pensiero oltre ad offrire una via di fuga dall’ansia, dalla bassa autostima e dalla depressione.

Divenire un giocatore d’azzardo comporta un cambio di vita, di relazioni, abitudini e persino d’identità. Il gioco rappresenta un’esperienza totalizzante che risponde a bisogni profondi della persona, legati a relazioni oggettuali arcaiche.

Ad una tale trasformazione psichica, con il conseguente innesco di una reale dipendenza da gioco, contribuisce cognitivamente un’intuizione: la paura di perdere il denaro è la causa principale dell’insuccesso. Un vecchio proverbio infatti affermava: “Chi gioca per bisogno, perde per necessità”. Il raggiungimento più o meno graduale di tale consapevolezza implica, non solo un nuovo modo di vedere ed interpretare il tavolo da gioco, bensì anche uno spostamento libidico ed emotivo importante.

L’ansia, che inizialmente affliggeva il giocatore occasionale, rientrava in una modalità prettamente anticipatoria e il raggiungimento del piacere risiedeva nell’aver fortuitamente vinto anziché perso una somma di denaro. Lo stato emotivo si intensificava quando era palese la possibilità di perdere il denaro. Il giocatore occasionale mal tollera il rischio e se ne tiene alla larga. Evita le giocate nelle quali è male “equipaggiato” o che richiedono un grosso investimento di denaro. L’ansia, talvolta, soprattutto se la posta in palio è molto alta, impedisce al giocatore persino di stare al gioco, nonostante sia dotato di una “mano” di tutto rispetto, utilizzando un gergo pokeristico.

Un passaggio determinante nella carriera del GAP è, dunque, il superamento della paura di perdere il denaro. Ciò comporta nuove modalità di raggiungimento del piacere e l’eccitazione che, adesso, prescindono dalla vincita o perdita di beni materiali. Il circuito del piacere si svincola dal denaro e dalla vincita per insediarsi nel brivido che avvolge la grande giocata. Vincere significa esclusivamente mettere in circolo adrenalina attraverso il ritmico susseguirsi di giocate sempre più strategiche e stupefacenti.

Il giocatore, di fatto, gode persino nel parlare di gioco, ricorda “mani” storiche, tavoli agguerriti e avvincenti scambi. Tutto assume minore importanza rispetto all’euforia, quasi psicotropa, riconducibile al gioco. Subentra l’esplorazione del rischio prima del beneficio; la vittoria prima della vincita. L’attività cognitiva ed emotiva è fervida ma divorante. La giocata precede il baratro dell’annullamento e dell’autodistruzione. Adesso l’ansia non è più anticipatoria o riconducibile alla perdita: il malessere proviene dal tempo di non-gioco, un craving agguerrito che demolisce la vita quotidiana, sempre più vuota e insignificante.

Perdere non è un problema quanto lo è invece non giocare. Il giocatore patologico che spera di raggiungere una vincita per migliorare la propria condizione,la propria vita, in realtà non può fare a meno neppure di perdere. La celebre frase consolatoria: “l’importante è partecipare” in questo caso è la traduzione di “meglio perdere che non giocare”. Il vuoto cronico che la persona si accinge ad affrontare nel momento in cui interrompe una partita è intollerabile e carico di ansia e di instabilità emotiva, soprattutto a seguito di una perdita. La vincita produce dei benefici ed un alleggerimento della pressione ansiosa ma, in seguito alla perdita di una grossa somma, la sofferenza aumenta vertiginosamente e sorge l’urgenza di recuperare denaro per poter giocare.

Come in molte dipendenze patologiche, anche il GAP riduce la dimensione del problema di fronte ad amici e famiglia o nega del tutto la sua esistenza. Cresce il bisogno di negare la dipendenza da gioco con la stessa veemenza con cui lo si desidera. La negazione nasce da sentimenti di vergogna che da sempre affiancano il giocatore d’azzardo conferendogli l’immagine di perdente e di “rovina famiglie”. Per reazione, il giocatore diviene con il tempo sempre più abile ad “occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo” (dsm-IV)

Il volto perverso, ossessionante e distruttivo del gioco ha messo in allarme di recente persino la Commissione Affari Sociali della Camera per dar inizio ad un’”indagine conoscitiva sugli aspetti sociali e sanitari del gioco d’azzardo”.

Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad una decontaminazione mediatica del gioco e delle sue conseguenze, prossimo alla assoluta legalizzazione. L’obiettivo sembra quello di voler allontanare il gioco dalla clandestinità, verso una dimensione sportiva e riconosciuta.

La possibilità, inoltre, di salvaguardare l’anonimato attraverso il gioco online ha consentito la nascita di una nuova generazione di giocatori, altrettanto aggressivi e compulsivi ma meno esposti al giudizio sociale. L’accessibilità di tali servizi ha generato un progressivo aumento del desiderio di gioco in fasce dapprima non coinvolte, come le donne e gli adolescenti.

Il rischio reale è che la legittimazione del gioco d’azzardo produca l’assottigliamento delle differenze e delle dovute distinzioni tra tipologie di giocatori, levigando sempre più i confini diagnostici e clinici di una categoria fortemente a rischio, che necessita di aiuto specialistico.

Da un lato i governi, Italia in testa, con la loro monopolistica promozione del “gioco responsabile”, al punto da sponsorizzarne persino l’ingresso tra le discipline olimpiche di Londra 2012; dall’altro la psichiatria e le professioni di cura che traggono vantaggio economico dalle turbe psichiche associate al gioco e alle dipendenze in generale.

Sarà di certo una “bella mano” che speriamo tenga conto in primis della disperazione e della richiesta d’aiuto.

Per citare un saggio quasi sconosciuto: “Il gioco d’azzardo è il miglior modo per ottenere nulla da qualcosa”(Wilson Mizner).

 

*Dott. David Scaramozzino, Psicologo Clinico – Psicoterapeuta, Esperto in psicologia delle Dipendenze e Psicologia Giuridica.

 

 

Bibliografia

  • ·         c1, (2011) Impulsivity and cognitive distortions in pathological gamblers attending the UK National Problem Gambling Clinic: a preliminary report

  • ·        

  • ·        

  • ·         Bergler

  • ·         Игрок (1866) ["Igrok", Il giocatore ],.

  • ·         , , , (2010).

  • ·        

 


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