Trauma Sessuale e Disturbo Post-Traumatico da stress

Pubblicato da David Scaramozzino, Maria Antonietta Mastrangelo, Simona Falasca, Roberta Federico

Tutto l'essenziale si è preservato,

 persino ciò che sembra completamente dimenticato è

ancora presente in qualche modo o da qualche parte,

 solo che è sepolto, reso indisponibile all'individuo.

Sigmund Freud

 

 

Da una ricerca retrospettiva effettuata su un campione di 2200 donne è emerso che il 5,9% ha subito una qualche forma di abuso sessuale durante l’infanzia e che il 18,1% ha subito sia abuso sessuale che maltrattamento.

 

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Figli di tossicodipendenti: Competenze genitoriali del tossicodipendente, psicopatologia dell’età evolutiva del bambino

di David Scaramozzino*

 

Un progetto sulla persona e sulla coppia che, oltre a essere di guida e sostegno, come in un normale percorso di disintossicazione, è soprattutto di natura psicoterapeutica e con un fondamento culturale, orientato alla produzione di competenze genitoriali nei pazienti tossicodipendenti e alla prevenzione dei danni psicofisici per il bambino.

Parole chiave: tossicodipendenza, genitorialità, bambino maltrattato.

   

    Summary: Abstract: Clinical treatment for drug-addicted individuals’ families based on counselling and strategic short psychotherapies applied to pathological drug-addictions. A project upon individuals and couples that aims to be both a support and a trail, as well in a normal de-addiction program,  that with its roots based on  the psychotherapy theory aims, exploiting individuals cultural backgrounds, to the production of parental skills by drug-addicted individuals preventing  psychological problems to their children.

 

Key words: drug-addiction,

In poco più di un decennio la popolazione dei pazienti dei i Ser.T italiani è pressappoco triplicata, passando dalle 50000 unità del 1990 alle 180.000 del 2007, rendendo l’accesso ai trattamenti molto più difficoltoso.

Inoltre gli operatori si sono trovati fortemente impreparati rispetto alle nuove tipologie di consumatori come immigrati, polidipendenti, pazienti in doppia diagnosi e nuove situazioni sociali di elevata complessità che necessitano di un intervento il più possibile coordinato e integrato, come quelli destinati ai genitori tossicodipendenti con figli.

Per questo il lavoro dei Ser.T necessita di un miglioramento qualitativo rispetto ai servizi erogati che contempli sempre più l’intervento psicoterapico destinato a restituire al paziente, attraverso anche la costruzione di relazioni personali significative con gli operatori e gli altri pazienti, la dimensione della responsabilità verso se stesso e verso gli altri.

In questa cornice, la genitorialità corrisponde ad una delle funzioni di un organismo psichico sano e responsabile che il paziente, con l’aiuto dei servizi, ha la possibilità di recuperare.

Le coppie tossicomani con figli sono sempre più numerose e l’approccio organicistico dei Ser.T o quello biografico-esistenziale delle comunità terapeutiche non hanno nel loro DNA la capacità e i mezzi per produrre da soli un intervento efficace e multidisciplinare, come la situazione richiederebbe.

L’incapacità di gestire la propria autonomia, da parte di questi pazienti, necessita di un progetto sulla persona e sulla coppia che, oltre a essere di guida e sostegno, come in un normale percorso di disintossicazione, sia soprattutto di natura psicoterapeutica e con un fondamento culturale.

 

Psicologia dello sviluppo e funzione genitoriale nel tossicodipendente

A partire dagli studi di Ainsworth et al. (1978), osservando i comportamenti del bambino nell’interazione con la figura di attaccamento, sono stati individuati alcuni tipi di attaccamento insicuro (ambivalente, evitante, disorganizzato) che predispongono al successivo sviluppo di disturbi di personalità (Bowlby, 1988).

Nella madre tossicodipendente spesso la capacità di generare nel figlio uno schema di attaccamento sicuro è invalidata dal rapporto morboso con la sostanza e/o da alcune sue caratteristiche di personalità disfunzionali, probabilmente le stesse che l’hanno condotta alla tossicodipendenza.

Ogni madre porta nella relazione con il proprio figlio il proprio passato, il proprio presente e le rappresentazioni che ha costituito riguardo a sé stessa, alle proprie esperienze significative e al proprio ruolo di madre.

Di conseguenza si può fare riferimento ad una trasmissione intergenerazionale degli stili di attaccamento (Cirillo S., Di Biasio P., 1989) dove per intergenerazionale si intende la comunicazione di modalità proprie di organizzazione e di gestione del proprio modello relazionale interno, che si gioca principalmente all’interno dei rapporti significativi, in particolare tra il genitore e i figli.

E sempre in questa direzione si può parlare anche di trasmissione della carenza nel sistema familiare del tossicodipendente, proprio come influenza depauperante da parte del modello relazionale interno carenziato del genitore sulla costruzione dello stile di attaccamento.

Secondo il modello di Cirillo e collaboratori la valenza patogena, tuttavia, sarebbe costituita non solo dalla trasmissione della carenza ma anche dal suo misconoscimento, dal fatto cioè che la carenza trasmessa non sia riconosciuta come tale.

Nella relazione madre tossicodipendente-bambino spesso diviene impossibile accedere ai vissuti di sofferenza a causa di questa costante di mistificazione relazionale che privilegia il fare pratico accudivo (dei nonni, ad esempio) marginalizzando la comprensione empatica, l’espressione affettiva e la tolleranza della differenza nelle relazioni.

Inoltre, nella coppia tossicodipendente è spesso carente la capacità di holding (Winnicott, 1958) che si riferisce al saper "contenere" le richieste di sostegno emotivo del bambino, come condizione necessaria perché quest’ultimo sia dotato di quelle competenze mentali che gli permettono di saper regolare le tensioni interne senza viversele in maniera catastrofica, come fonte di minaccia al proprio equilibrio psichico.

La teoria della trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento e della carenza e la mistificazione affettiva della relazione madre-bambino, mettono in luce come la tossicodipendenza sia sempre più da considerare una patologia affettiva, dove il sintomo principale è l’incapacità nella regolazione degli affetti sviluppata all’interno di relazioni primarie insicure e di interazioni regolative disfunzionali con le figure di attaccamento (Gabbard, 1990).

Il figlio di tossicodipendenti è un bambino maltrattato poiché erede e vittima dell’inadeguatezza genitoriale dei suoi caregiver, a loro volta portatori di uno stato di carenza di attenzioni e cure nell’infanzia che ha radici nella famiglia d’origine.

La genitorialità di un tossicomane o di una coppia tossicomane è minacciata, oltre che da caratteristiche intrinseche, anche da una serie di anomalie che l’ICD-10 elenca in una tabella di situazioni psicosociali anomale associate alla genitorialità: il disaccordo intrafamiliare, la devianza, la comunicazione intrafamiliare inadeguata o distorta, i fattori sociali di stress, l’ambiente circostante anomalo, il disturbo psichico eventualmente associato alla tossicodipendenza.

A questi si possono aggiungere la gravidanza in età adolescenziale, la conflittualità con conseguente separazione e divorzio, la psicopatologia genitoriale, il maltrattamento e l’abuso, la condizione socioeconomica disperata.

Tra i figli di tossicodipendenti si riscontra un quadro clinico abbastanza vario con sintomi appartenenti all’area neuromotoria, socioaffettiva e psicologica tali da, nell’ottica del modello transazionale di sviluppo di Samenoff e Chandler (1975), rendere più difficile l’instaurarsi di un attaccamento sicuro.

Problematiche neuromotorie come una diminuita maturità motoria, scarsa organizzazione di stato e ipotonia (Als e al.,1976) e altre condizioni socioaffettive come una difficile regolazione delle interazioni con i caregiver potrebbero infatti influire negativamente sulla relazione genitore-bambino e minare fortemente la capacità genitoriale spesso già instabile.

Come evidenzia Stern (1986) il processo di attaccamento è frutto di una circolarità ed è messo a rischio sia dall’inadeguatezza del caregiver sia da bambini con una scarsa “seduttività” e iniziativa nello stimolare il senso di accudimento della madre.

Sono bambini con alterazioni nelle prime fasi dello sviluppo, con manifesta irritabilità verso gli stimoli esterni,  mobilità orale instancabile e frenetica e sovente anche disturbi del ritmo sonno veglia (Strauss, 1975).

Questi bambini rappresentano spesso una sfida alle competenze del caregiver, minando le risorse e le energie del genitore con la conseguente incapacità di questi di mantenere un comportamento affettuoso e empatico (Wilson, 1979).

 

Psicopatologia dell’età evolutiva del figlio di genitori tossicodipendenti

Da un’indagine epidemiologica condotta all’interno della ricerca-intervento dal titolo: “La costruzione di una relazione tra servizi a tutela di una relazione tra i tossicodipendenti genitori e i loro figli”, portata avanti dall’ASL di Pavia, tra gli anni 1999 e il 2003, emergono chiaramente quali sono le conseguenze sul bambino, in termini di disagio e di disturbo psicologico, di nascere e crescere con uno o entrambi i genitori affetti da una dipendenza patologica da sostanze psicoattive.

La sindrome di astinenza neonatale (SAN), della quale sono spesso affetti i figli di tossicodipendenti attivi, oltre a provocare nel neonato una serie di complicanze fisiche, è certamente un fattore predisponente alla rilevazione successiva di eventuali disturbi psicologici.

Tuttavia nel 24,5% del campione sono stati rilevati disturbi psicologici anche in assenza di sindrome d’astinenza alla nascita.

I figli di madre tossicodipendente che manifestavano un deficit psicologico ammontavano al 54,7% e nell’81% dei casi è stata riscontrata la compresenza di due o più disturbi.

Tra questi una grande percentuale (50%) presentava un disturbo dell’attaccamento la cui caratteristica principale, secondo il DSM-IV, è “una modalità di relazione sociale, notevolmente disturbata e inadeguata rispetto al livello di sviluppo, che si manifesta in quasi tutti i contesti, che inizia prima dei 5 anni ed è associata ad un accudimento grossolanamente patologico”.

Un altro 46% manifestava un disturbo della condotta, ovvero “una modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti fondamentali degli altri oppure le norme o le regole della società appropriate per l'età adulta vengono violate”.

Spesso a questi si associavano anche trascuratezza materiale (40,6%) e difficoltà scolastiche (37,5%).

Il 31,2% dei bambini soffriva di un disturbo psicosomatico, il 31,2% di un ritardo dello sviluppo, mentre un bambino su quattro era affetto da disturbi dell’umore.

La condizione di tossicodipendenza di entrambi i genitori, come anche la diagnosi di disturbi psichiatrici per uno di loro, aumenta la possibilità dell’insorgenza di deficit psicologici nel bambino.

Vennero osservate anche una notevole irritabilità e una difficile consolabilità, anomalie neurocomportamentali come tremori e sobbalzi (Brazelton, 1984). La loro reazione agli stimoli visivi risulta meno responsiva (Strauss e al.,1976; Ostrea, Chavez, Strass, 1976). 

I deficit, nel complesso riguardano l’area della regolazione.

Per questi bambini non esistono dei quadri clinici specifici ma sostanzialmente i loro stati comportamentali sono molto più depressi e labili rispetto ai bambini non esposti.

La durata di queste anomalie comportamentali, non essendo in genere disfunzioni gravi, varia in relazione a diversi fattori, dei quali, il più rilevante sembra essere l’ambiente sociale in cui il bambino cresce.

Da uno studio specifico si è registrata una decadenza di alcuni sintomi, come la scarsa coordinazione del bambino esposto a metadone in gravidanza, prima del dodicesimo mese solo in quei bambini provenienti ambiente familiare e sociale amorevole (Marcus, Hans, Jeremy, 1982).

 

L’intervento nel Ser.T del terapeuta strategico: approccio ericksoniano alle tossicodipendenze

Nei casi più critici di tossicodipendenza attiva è fondamentale che i servizi riescano ad agganciare e mantenere in trattamento le donne in gravidanza, preferibilmente con il loro partner, a causa dei rischi sanitari per la madre ed il feto, la denutrizione, le infezioni possibili per la presenza di pratiche iniettive non sicure, etc.

Il risultato a lungo termine per le donne che entrano in programmi di trattamento con metadone durante la gravidanza è migliore in riferimento alla gravidanza stessa, alla nascita e allo sviluppo del bambino a prescindere dalla prosecuzione o meno dell’abuso di sostanze illegali.

Le gravide in trattamento generalmente hanno un miglior decorso della gravidanza e, in generale, uno stato di salute migliore rispetto a quelle che non sono in trattamento metadonico, anche nel caso vi sia una prosecuzione dell’uso di sostanze illegali (Finnegan L. P., 2000).

Una volta che sia stato definito un programma di trattamento, devono essere incentivate le relazioni con altri servizi, in particolare quelli che si occupano delle cure prenatali. A tal proposito gioca un ruolo fondamentale il responsabile del caso (Case Manager) per coordinare l’assistenza della madre e del bambino dal punto vista medico e psicologico.

Sebbene molte donne desiderino disintossicarsi, il trattamento di mantenimento metadonico a lungo termine è considerato la migliore opzione terapeutica per le donne tossicodipendenti in gravidanza.

Se una donna desidera disintossicarsi, si raccomanda di non effettuare disintossicazione prima della dodicesima settimana o dopo la trentaduesima settimana (Council of Europe, 2000).

Le linee guida del Regno Unito a proposito della stabilizzazione e del mantenimento metadonico per la donna in gravidanza suggeriscono che: “La stabilizzazione, all’interno di un programma di sostituzione, offre l’opportunità di scoprire ed affrontare quei problemi che hanno portato all’abuso di sostanze”.

Questa constatazione fa pensare a come l’intervento medico-farmacologico, in  ambito di tossicodipendenze, necessiti sempre di un lavoro psicologico e psicoterapeutico parallelo e sinergico, confermando l’importanza della cooperazione multiprofessionale all’interno di una equipe costruita ad hoc.

Dal momento che le donne tossicodipendenti in gravidanza ed, in particolare, le giovani madri, vivono frequentemente un forte senso di colpa misto a sentimenti depressivi, è fortemente consigliato intervenire, parallelamente al trattamento tossicologico, con un counselling di supporto e interventi psicosociali.

Se la gravidanza coinvolge emotivamente e psicologicamente anche il partner, è opportuno che il counselling si rivolga non più alla sola madre, come è ipotizzabile che avvenga nella fase di aggancio e di raccolta d’informazioni, ma alla coppia, con incontri settimanali informativi e di sostegno psicologico.

La coppia acquisisce, attraverso il counselling, la capacità di far fronte al trattamento farmacologico sostitutivo, lavora per sviluppare l’autoconsapevolezza, la capacità di mentalizzazione e di elaborazione psichica delle tensioni conflittuali, per una presa di coscienza reale della nuova situazione.

Il consulente aiuterà la coppia a costruire una rappresentazione mentale coerente e realistica in merito al bambino che arriverà, ridimensionando l’aspettativa salvifica e spesso deludente che i tossicodipendenti, in genere, attribuiscono a questo evento.

Tutto ciò apre la strada alla possibilità di una vita familiare positiva e responsabile e ad uno sviluppo sano del bambino, obiettivi questi raggiungibili solo se la coppia viene rinforzata nella genitorialità, eliminando o marginalizzando la dipendenza dalla sostanza.

La madre, in particolare, verrà seguita e sostenuta nella costruzione della futura diade madre-bambino, ricevendo tra l’altro un adeguato e specifico training pre-parto finalizzato a renderla maggiormente in grado di sintonizzarsi con il suo bambino per codificare le informazioni provenienti dal feto.

Ma l’intervento psicologico nel tempo non può essere limitato solo al counselling in considerazione delle varie fasi che vanno dalla scoperta della gravidanza sino ai primi anni del bambino.

Circa il 50% dei figli con madre tossicomane con disturbo borderline di personalità, manifesta disturbi psicologici già durante la prima infanzia. Proteggere il bambino dalla psicopatologia della madre e del padre significa lavorare sul genitore non solo con il counselling, come spesso avviene all’interno dei Ser.T, ma anche con la psicoterapia, andando al di là dell’intervento di sostegno e consulenza attivato durante la gravidanza.

Attraverso la psicoterapia il genitore riesce ad individuare le proprie inadeguatezze e a produrre un cambiamento, frutto di un processo di comprensione, che sia funzionale all’arrivo del nuovo nato.

La psicoterapia che lavora sulla psicopatologia sottostante alla dipendenza aiuta questi genitori e le mamme, in particolar modo, ad assumere un cenno di controllo sulle tempeste psichiche che hanno dentro.

Il disturbo di un tossicodipendente viene da lontano, ha sicuramente radici nell’infanzia ma è anche vero che il bambino ha delle scadenze e non può aspettare i tempi di recupero che consuetamente si prende la psicoterapia.

Per questo la valutazione e il trattamento si svolgono “lottando” con la persona per liberare, nel minor tempo possibile, le competenze e le risorse utili all’accudimento sano, consapevoli che, in un certo numero di casi, non si riesce nell’intento e che per il bambino è meglio un’altra collocazione eterofamiliare.

Il bambino necessita di un genitore adeguato sin dalla nascita e non può attendere la “guarigione” del genitore.

A determinare questa urgenza c’è anche la situazione dei tribunali italiani, nello specifico del Tribunale per i Minorenni, notevolmente ingolfato da miriadi di denunce e segnalazioni di disagio dei minori e delle famiglie.

L’applicazione del metodo psicoterapico breve strategico nel trattamento delle dipendenze patologiche da sostanze e da alcool è ancora in fase di evoluzione ma i risultati ottenuti con queste tecniche fanno presagire un futuro in questa direzione, sia per l’esigenza del sistema sanitario che si trova di fronte ad un aumento continuo della domanda, con l’evidente urgenza di usufruire di un trattamento più breve ed alla portata di tutti; sia perché l’approccio si dimostra molto plastico e adeguato a lavorare con una grande varietà di consumatori, di diversa estrazione sociale ed economica e di differenti culture, proprio in virtù della sua centratura sul cliente.

È stato dimostrato come la centratura sul paziente e la filosofia della cooperazione, punti di forza dell’approccio strategico, nella relazione cliente-terapeuta, aumentino notevolmente la “compliance” (Miller, 1985) probabilmente perché, lavorando in questo senso, la formazione del rapport è molto facilitata, così come più semplice sarà stabilire obiettivi chiari e concreti, non frutto più della fantasia indottrinata del terapeuta ma delle esigenze reali del paziente.

Nel modello tradizionale di trattamento delle dipendenze, al paziente viene detto quello che deve fare per guarire e tutti coloro che si rifiutano o che non traggono beneficio sono considerati “resistenti”.

Questo approccio tradizionale parte dall’ambiziosa idea che il modello è infallibile, come per gli Alcolisti Anonimi, e chi non guarisce viene etichettato come un paziente difficile, co-dipendente e resistente.

C’è il rischio, infatti, di operare processi di selezione della domanda potenziale, funzionali più alla conferma del modello teorico prescelto ed alle esigenze della struttura che ai bisogni dell’utenza.

Watzlawick, per dare una spiegazione critica a tale fenomeno, elabora il concetto di “proposizione autoimmunizzante”, ossia che: “troppo spesso scopriamo che i limiti inerenti ad una determinata ipotesi sono attribuiti ai fenomeni che quell’ipotesi avrebbe dovuto spiegare”.

Il modello tradizionale, in particolare i trattamenti che hanno come unico obiettivo l’astinenza e la disintossicazione, attribuiscono ad alcuni pazienti delle caratteristiche negative che invaliderebbero il trattamento.

Al contrario, l’approccio strategico breve ripone il focus della terapia sul paziente, attenendosi al suo reale disagio e ai suoi reali bisogni, che possono essere, almeno inizialmente, lontani dall’astinenza dall’alcool o dalla disintossicazione totale dalle sostanze illecite. Se il trattamento fallisce è perché entrambi hanno fatto qualche errore.

Lo psicoterapeuta stratega, utilizzando qualsiasi cosa portata dal cliente, tende ad interpretare tutti i comportamenti del paziente come messaggi che offrono un’importante informazione retroattiva a correzione dell’intervento. In quest’ottica, anche la resistenza diventa utile a raggiungere gli obiettivi terapeutici.  

La resistenza non solo sarà attentamente ascoltata ma utilizzata, in aperto contrasto con le ideologie tradizionali (Petruccelli F., Marziale M., 1999).

Se un cliente torna alla seduta successiva senza aver adempito alla prescrizione comportamentale, non sarà etichettato come “resistente” ma il suo gesto diviene un messaggio metacomunicativo per il terapeuta. Il compito potrebbe esser stato eccessivo o lontano dalla visione del mondo del cliente, con il terapeuta che si mette costantemente in discussione, usufruendo di supervisioni e formazione continua.

Questo modello si rivela adeguato anche alla situazione di genitori tossicodipendenti con figli, per la sua plasticità, gli ampi gradi di libertà ma soprattutto per la riduzione drastica dei tempi utili al raggiungimento degli obiettivi concordati.

L’approccio strategico di matrice Ericksoniana opera tenendo lo sguardo fisso sul “qui e ora” al fine di produrre un cambiamento comportamentale futuro.

Il terapeuta stratega che si sofferma sulle indagini familiari e retrospettive sa che serviranno solo da interpunzioni, che potranno favorire la costruzione del rapport e la comprensione dei modelli rappresentazionali interni del paziente, ma sarà consapevole del fatto che sono del tutto arbitrarie e che la realtà di questi pazienti e delle loro relazioni familiari non si rifà ad una logica di causalità lineare.

Come sostiene Watzlawick e al. (1967) le relazioni nella famiglia tossicodipendente e del tossicodipendente seguono il principio di circolarità e ciò “…ci costringe ad abbandonare la nozione che l’evento A, per esempio, viene per primo e che l’evento B è determinato dal verificarsi di A…”.

L’approccio terapeutico strategico alla tossicodipendenza mette da parte un modello improntato sull’affannosa ricerca di una causalità nella storia d’abuso e familiare del paziente finalizzata all’interpretazione.

La terapia strategica con il tossicodipendente entra nel vivo con l’utilizzo delle prescrizioni comportamentali con le quali il terapeuta si propone di aiutare il paziente ad attivarsi e a muoversi (Zeig, 1980). Le prescrizioni generano l’azione fuori dalla seduta terapeutica, nel contesto quotidiano del paziente, dove dovrà avvenire realmente il cambiamento e dove  verrà più frequentemente messo alla prova.

L’attesa indefinita dell’insight che caratterizzava le sedute psicanalitiche viene qui sostituita dall’azione, dal concordare con il paziente procedure e compiti da portare a termine.

Anche mediante le prescrizioni il paziente può arrivare all’insight attraverso l’apprendimento di nuove capacità e strategie, prendendo coscienza dei meccanismi e dei suoi comportamenti disfunzionali che reggono la dipendenza, spesso alimentata da tentativi di soluzione fallimentari che fino ad allora egli stesso ha messo in atto.

Uno degli obiettivi della terapia è quello di “allargare l’area della coscienza” o, più concretamente, di far sperimentare al paziente delle capacità superiori che non pensava di possedere. Si tratta di ampliare la percezione dei propri limiti che fino ad oggi ha coinciso con i fallimentari ed estenuanti tentativi di risolvere il problema da solo.

Nell’ambito delle tossicodipendenze, concordare gli obiettivi con il paziente in un’ottica di cooperazione e centrare la terapia sul paziente, offrendogli una notevole autonomia e libertà all’interno del setting, può essere pericoloso per un terapeuta privo dell’esperienza necessaria.

È doveroso porre attenzione, agendo in tal modo, a non rinforzare modalità trasgressive e connivenze devianti. Il terapeuta, nel momento di maggior crisi della famiglia e della coppia, potrà si accettare una richiesta di maggiore vicinanza e disponibilità, ma prestando sempre attenzione ai tentativi di manipolazione di uno o entrambi i coniugi.

Il paziente dipendente, inoltre, ha la tendenza a relazionarsi con una equipe multiprofessionale in maniera scissionale, identificando in alcuni operatori (spesso più morbidi e permissivi) la parte “buona” del trattamento e in altri la parte “cattiva”, riuscendo talvolta a creare dei contrasti tra le varie figure.

Per questo, è assolutamente necessario che il terapeuta, insieme a tutti i professionisti che fanno parte della equipe che lavora sul caso, partecipino a sedute frequenti di supervisione al fine non solo di monitorare l’andamento del lavoro svolto fino ad allora ma anche di controllare tali pericolose dinamiche e i vissuti controtransferali di ognuno (Covri C., 2004).

 

Note: tecniche strategiche nel trattamento delle dipendenze patologiche

·         Tecnica del come sé. Consiste nel chiedere al paziente di immaginarsi diverso, libero dalla sua dipendenza; di immaginare una giornata come se non fosse un tossicodipendente, come sarebbe una mattina senza venire al Ser.T a prendere la cura metadonica.

·         Training di rilassamento. Questo permetterà al paziente di sviluppare una risposta rilassante di fronte ad un fattore stressante specifico della vita quotidiana.

·         Intervenire promuovendo un cambiamento piccolo (Nardone, 1998). Proporre al paziente di astenersi dalle sostanze che assume da anni risulterebbe un tentativo vano o meglio ridicolo ma promuovere una seppur minima forma di controllo che può riguardare il dosaggio, la frequenza di uso, una sorta di educazione al consumo, l’evitamento di condotte illegali come furto e spaccio, etc. potrebbe innescare un cambiamento anche molto più grande.

·         Prescrizioni comportamentali che aiutino il paziente ad attivarsi e a muoversi (Zeig, 1980). Le prescrizioni generano l’azione fuori dalla seduta terapeutica, nel contesto quotidiano del paziente, dove dovrà avvenire realmente il cambiamento e dove questo verrà più frequentemente messo alla prova.

·         Fantasia del miracolo. Al paziente viene proposto di immaginare di svegliarsi il giorno dopo completamente guarito e interrogarsi su quali sarebbero stati gli indicatori della sua guarigione, su quali sarebbero state le sensazioni del momento e che cosa gli verrebbe in mente di fare a quel punto.

·         Tecniche immaginative che oltre al training autogeno favoriscono il processo di rilassamento, sia facendo immaginare al paziente situazioni reali stressanti e che provocano ansia, sia lasciandogli produrre immagini rilassanti e pacifiche.

·         Ristrutturazione cognitiva. Falsificare, attraverso l’esperienza, le proprie convinzioni e i propri atteggiamenti generando nuovi punti di vista concettuali e emozionali.

·         Trattamento dalla fine verso l’inizio, procedendo con le strategie e le prescrizioni comportamentali più semplici e introducendo complessità, seduta dopo seduta.

·         Tecnica dell’ordalia. Il terapeuta prescrive un compito faticoso ed esasperante ma adeguato al problema della persona. Il compito deve risultare maggiormente noioso rispetto al problema stesso e deve essere congeniato in modo da risultare positivo ed attuabile per il soggetto, il quale non può legittimamente opporsi.

·         Prescrizione del sintomo. Caricare la messa in atto del sintomo con compiti “fastidiosi”in modo che il mantenerlo sia più oberante dell’abbandonarlo.

 

 

Conclusioni

Generalmente, un servizio che si occupa di tossicodipendenze è chiamato per vocazione a garantire una “multidimensionalità della risposta” all’utente affinché questi riceva un intervento realmente personalizzato e non frutto esclusivamente di protocolli concordati. C’è il rischio, infatti, di operare processi di selezione della domanda potenziale, funzionali più alla conferma del modello teorico prescelto ed alle esigenze della struttura che ai bisogni dell’utenza.

L’approccio psicoterapeutico strategico breve può far fronte a queste esigenze di un Servizio per le Tossicodipendenze essendo per vocazione centrato sull’individuo e sulle sue qualità individuali piuttosto che sul rigore della teoria e della tecnica.  

 

 

 

 

 

 

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Separazione e divorzio: conseguenze cliniche sullo sviluppo del minore

Autori: David Scaramozzino, Fabio Rizzo, Martina Carmellini, Roberta Morero

 

Essere portati, cullati, carezzati, essere tenuti, massaggiati, sono tutti nutrimenti per i bambini piccoli, indispensabili, come le vitamine, i sali minerali e le proteine, se non di più. Se viene privato di tutto questo e dell’odore, del calore e della voce che conosce bene, il bambino, anche se gonfio di latte, si lascerà morire di fame” Leboyer (1996)


 

Partendo dai dati pubblicati dall'ISTAT, risalenti allo scorso anno, in merito ai temi di separazione e divorzio in Italia, possiamo notare come le separazioni abbiano registrato un incremento, mentre il numero di divorzi, abbia subito un decremento, anche se numericamente poco rilevante.

 

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Tossicodipendenze: un approccio strategico

 

 

L’affiancamento di un lavoro psicoterapico a terapie sostitutive o di mantenimento con metadone rappresenta ormai una prassi consolidata di gran parte dei servizi per le tossicodipendenze presenti sul territorio italiano.

La psicoterapia che lavora sulla psicopatologia sottostante alla dipendenza aiuta questi pazienti ad assumere un cenno di controllo sulle tempeste psichiche che hanno dentro.

 

 

 

di David Scaramozzino, Psicologo, Psicoterapeuta Strategico

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Psicodinamica di un infinito azzardo

di David Scaramozzino

 

 

L’uomo è veramente uomo soltanto quando gioca”

Friedrich Schiller.

 

Ognuno è incline a credere in ciò che desidera,

da un biglietto della lotteria ad un passaporto per il paradiso”

George Byron

 

Giocare d’azzardo è un’attività che accomuna gran parte delle persone. Rappresenta un momento di svago, di evasione, di condivisione; un cerimoniale che arricchisce l’atmosfera di momenti aggregativi. Dietro al gioco, soprattutto se supportato da denaro, si cela la sfida dell’uomo alla natura, intesa come società e sistema produttivo. 

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